

Il 16 settembre 2025 viene pubblicato l’ultimo Rapporto della Commissione internazionale indipendente di inchiesta sui territori palestinesi occupati. La Commissione, istituita nel 2021 dall’Ufficio dell’Alto Commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite, si compone di tre esperti provenienti dall’emisfero sud del mondo e precisamente la presidente dal Sud Africa e i due membri dall’Australia e dall’India.
La prima conclusione cui la Commissione perviene, sulla base degli accertamenti svolti e in parte condensati in precedenti rapporti redatti tra il settembre 2022 e il maggio 2025 – è che le autorità di governo e militari di Israele tengono a Gaza quattro delle cinque condotte definite di genocidio dall’articolo II della Convenzione ONU per la prevenzione e la repressione di tale crimine (New York, 1948). Si tratta dell’«uccidere membri del gruppo», del «causare gravi danni fisici o mentali ai membri del gruppo», del «sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale» e del «imporre misure dirette a impedire nascite all’interno del gruppo».
Il rapporto riserva molte delle 72 pagine a come e con quali conseguenze si svolge l’operazione militare avviata nella Striscia dopo i massacri, le atrocità e i rapimenti perpetrati da Hamas in territorio israeliano. Una minuziosa attenzione viene dedicata al numero senza precedenti di palestinesi caduti e gravemente feriti, all’assedio totale dell’area, al blocco delle forniture di energia e degli aiuti umanitari con degrado delle condizioni di vita – tra cui fame e malnutrizione di massa –, alla sistematica distruzione di ospedali, scuole, università, aree agricole, ai ricorrenti atti di violenza sessuale e di genere, ai bambini presi a bersaglio, all’attacco diffuso ai siti di interesse religioso e culturale.
Il rapporto si fa quindi carico della questione se la violenza che devasta persone e cose nella Striscia sia mossa dalla «intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo», requisito questo che caratterizza il crimine di genocidio e lo distingue da quelli di guerra e contro l’umanità. La risposta è affermativa dovendosi la mens rea ritenersi provata per via sia indiziaria che diretta. Sono gli stessi metodi ed effetti dell’offensiva, tanto più se valutati nel loro insieme, a convincere, come unica deduzione “ragionevolmente” possibile, che l’offensiva mira a eliminare, ancorché solo in parte, la popolazione palestinese di Gaza in quanto “gruppo”. Pesano, poi, le dichiarazioni esplicite dei vertici politici israeliani, quando, già a partire dal 7 ottobre 2023, non rifuggono da un linguaggio disumanizzante e incitano alla vendetta, alla distruzione e all’annientamento dei palestinesi.
Nel presentare il risultato del lavoro della Commissione, la presidente – giurista e giudice dal prestigioso curriculum in patria e all’estero – impiega parole severe nel dichiarare che «la responsabilità di questi crimini atroci cade sulle autorità di Israele al più alto livello per aver orchestrato una campagna genocidiaria per quasi due anni» e che «Israele ha mancato di prevenire e punire gli atti di genocidio non indagando né perseguendo i presunti autori».
Il documento conferma e aggiorna quanto denunciato da non poche altre fonti. Nell’ambito delle ONG internazionali meritano di essere qui richiamati i rapporti di Amnesty International su Ti senti come fossi sub umano. Il genocidio di Israele contro la popolazione palestinese a Gaza (dicembre 2024) e di Human Rights Watch su Il crimine di sterminio e gli atti di genocidio. Le autorità israeliane privano di acqua la popolazione, minacciandone la sopravvivenza (dicembre 2024). Si aggiunge la Risoluzione (luglio 2025) adottata dall’International Association of Genocide Scholars. Secondo l’associazione – dedita all’approfondimento dei temi legati al genocidio con l’apporto di antropologi, artisti, economisti, educatori, giuristi, letterati politologi, psicologi, storici, etc – «le politiche e le azioni di Israele integrano la definizione di genocidio» dettata dalla Convenzione ONU del 1948.
È significativo registrare come anche in Israele non mancano analoghe prese di posizione. È il caso di Physicians for Human Rights-Israel, l’associazione israeliana che si batte per il diritto alla salute anche nei territori palestinesi occupati. La pubblicazione su La distruzione delle condizioni di vita. Un’analisi sanitaria del genocidio a Gaza (luglio 2025), dopo aver ripercorso la sistematica e progressiva disintegrazione delle strutture mediche a Gaza – con le indicibili sofferenze patite dai residenti nella Striscia – si chiude sottolineando come, da un lato, le azioni dell’esercito israeliano integrano le ipotesi di genocidio previste dalla Convenzione, dall’altro, vi è «prova sufficiente per stabilire che tali azioni vengono condotte con lo specifico intento» di distruggere, in tutto o in parte, la popolazione gazawi. Ancor più perentoria suona la conclusione del rapporto Il nostro genocidio (luglio 2025) curato da B’Tselem. Ad avviso del Centro d’informazione israeliano per i diritti umani nei territori occupati, il genocidio è, semplicemente, «in corso».
Appena dopo la pubblicazione del Rapporto della Commissione ONU, il 17 settembre 2025 compare sul quotidiano “The Guardian” l’articolo Now, more proof that Israel is committing genocide in Gaza, con cui Steve Crawshaw sin dal titolo pone la questione di «ora che ci sono più prove che Israele sta commettendo un genocidio a Gaza, come possono i Paesi dell’Occidente ancora rifiutarsi di agire?». In effetti, l’articolo I della Convenzione ONU sul genocidio impegna gli Stati che ne fanno parte – attualmente 153 – a «prevenire e punire» il crimine. Nel caso in esame prevenire significa innanzitutto adottare concrete e sollecite misure diplomatiche ed economiche in grado di dissuadere Israele dal proseguire la letale campagna militare contro la popolazione civile della Striscia, in questi ultimi tempi schiacciata da condizioni di sopravvivenza ancor più intollerabili che nel passato. Come riferito in La rivolta dei giuristi israeliani: «Fermate il massacro» (“Il Dubbio”, 20 settembre 2025), anche da Israele si leva la voce di eminenti giuristi contro l’evacuazione forzata da Gaza City di centinaia di migliaia di persone per le gravi violazioni del diritto umanitario che l’operazione inevitabilmente comporta.
Già nel gennaio 2024 la Corte Internazionale di Giustizia, attivata dal Sud Africa il mese prima, dopo aver ritenuto plausibile l’ipotesi di genocidio, in via provvisoria ordina a Israele di prevenire ogni forma di tale crimine, di impedirne e punirne l’incitamento contro i palestinesi di Gaza nonché di somministrare i servizi essenziali e umanitari alla popolazione della Striscia per far fronte alle – già allora – disastrose condizioni di vita. A venti mesi da quell’ingiunzione, appare chiaro che l’intervento dei giudici dell’Aja non sortisce alcun effetto, come impietosamente conferma l’inarrestabile incremento del numero delle vittime: quasi 26.000 nel gennaio 2024, oltre 65.000 a metà settembre 2025.
Diventa dunque cruciale e urgente, oltre che imposto dalla Convenzione, anche il punire. O meglio, il iudicare, e cioè far sì che dei giudici indipendenti e imparziali possano prendere cognizione dell’ormai imponente materiale raccolto, lo valutino nel contraddittorio delle parti e decidano, al di là del ragionevole dubbio, se nell’attacco a Gaza ricorra il crimine di genocidio – ovvero altro crimine – e, in caso affermativo, stabiliscano chi ne sia il colpevole.
Purtroppo anche su questo versante, nulla o poco sembra volersi e potersi muovere. In controtendenza, è di questi giorni l’avvio di un’indagine preliminare disposta, in base al principio della giurisdizione universale, dall’autorità giudiziaria spagnola sulle gravi violazioni del diritto umanitario che verrebbero commesse dall’esercito israeliano nella Striscia. Non è molto, ma la notizia, tanto più se avrà un seguito, aiuta a continuare a pensare che la giustizia sia in grado di essere nel contempo fragile e resiliente.
[Il presente testo è uscito su “Rocca”, n. 20, 15 ottobre 2025]
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Alberto Perduca, già magistrato (1979-2021), con esperienze presso varie organizzazioni internazionali tra cui Unione Europea, Consiglio d’Europa, Organizzazione per la cooperazione e sicurezza in Europa, Nazioni Unite sui temi del diritto e della giustizia penale. Per Edizioni SEB27 ha curato, con Andrea Spagnolo, il volume Giustizia e conflitti internazionali. Riflessioni a partire da Ucraina, Israele e Gaza (2025).