La pastasciutta dei Cervi
Piccola storia di una "festa antifascista"
di Claudio Silingardi

Quello dei fratelli Cervi è uno dei miti più duraturi e radicati nella memoria pubblica della Resistenza in Italia, non solo per il sacrificio dei sette fratelli fucilati tutti insieme il 28 dicembre 1943 ma anche per il ruolo di testimone pubblico assunto dal padre Alcide Cervi fino alla sua morte nel 1970. Successivamente, per l’impegno che Istituto Cervi e poi il Museo hanno messo nel promuovere cultura e memoria antifascista.

Nella costruzione del loro mito è stato decisivo il Partito comunista che, con Palmiro Togliatti, aveva colto nella loro storia quegli elementi utili a rappresentare il carattere nazionale e democratico del partito: una famiglia di contadini di forti sentimenti religiosi che si avvicina progressivamente al comunismo, iniziatori della lotta armata e uccisi dai fascisti nella fase iniziale della Resistenza.

Passando dal mito alla realtà, si scopre come questo percorso di presa di coscienza avvenga lentamente e non coinvolge tutti i componenti della famiglia allo stesso modo. Non mancano poi critiche ai Cervi da parte dei dirigenti comunisti rispetto al loro approccio alla lotta antifascista prima e a quella armata poi. Troppo decisi, troppo esposti, poco attenti – a loro dire – alle esigenze della clandestinità. Ma vogliono dare l’esempio, sollecitare la ribellione. Sono avanguardia.

Ma c’è dell’altro: per un partito che rappresenta operai, braccianti e mezzadri i Cervi sono strani, perché parallelamente alla loro presa di coscienza antifascista sviluppano un percorso di emancipazione che li fa passare da mezzadri ad affittuari, a innovare le produzioni agricole, a sperimentare nuove tecniche con i passaggi simbolici del livellamento dei terreni e dell’acquisto di uno dei primi trattori utilizzati nella zona.

Già nel 1939 le autorità fasciste considerano la famiglia Cervi “di sentimenti contrari al regime” e proprio durante gli anni della guerra si fa più intensa la loro azione antifascista – e di boicottaggio della consegna dei prodotti agricoli al regime – grazie anche all’incontro con Lucia Sarzi, componente di una compagnia teatrale proveniente dalla bassa lombarda in quel momento di stanza nel Reggiano, in contatto con il Partito comunista. Dal 1943 la casa dei Cervi diventa luogo per riunioni clandestine, viene data ospitalità a dirigenti comunisti, sono raccolti di fondi per il Soccorso rosso, stampati e diffusi volantini di propaganda contro il regime, fino al salto di qualità della loro azione antifascista con il sabotaggio compiuto agli inizi del 1943 contro un palo della corrente elettrica a Taneto, presso Sant’Ilario d’Enza.

Lo sbarco degli anglo-americani in Sicilia il 10 luglio 1943 segna la fine per il regime fascista. Il 25 luglio il regime cade, Mussolini è arrestato e subentra il maresciallo Pietro Badoglio, a capo di un governo militare. Rari sono i casi di violenza contro esponenti fascisti, mentre si colpiscono i simboli del regime. Nelle manifestazioni popolari prevale la gioia, perché in tanti sono convinti che con il fascismo finisca anche la guerra, speranza che sarà delusa in poco tempo.

I Cervi trovano un modo originale di festeggiare la caduta del fascismo: il 27 luglio organizzano a Campegine una grande ‘pastasciuttata’, offrendo da mangiare alle persone convenute in piazza. Una manifestazione pacifica che rende ancora più manifesto il sentimento antifascista della famiglia Cervi. Un’azione non semplice da organizzare, che mobilita tante persone: il giorno precedente, la pasta preparata da tante donne viene prodotta dal fornaio antifascista di Case Cocconi, per la cottura si utilizzano le caldaie della latteria di Caprara, che fornisce anche burro e formaggio dietro garanzia dei Cervi di corrispondere a pagamento le loro quote latte; infine, la mattina del 27 la pasta conservata in alcuni bidoni del latte viene portata in piazza a Campegine per essere distribuita alle persone che, nel frattempo, erano state avvisate di portare piatti e posate da casa.

I reggiani scoprono subito che il cambio di regime non ha modificato la situazione. Il giorno dopo la pastasciutta, il 28 luglio, un corteo di operai delle officine Reggiane che intende uscire dalla fabbrica per manifestare è affrontato da un reparto militare che apre il fuoco, uccidendo nove lavoratori. Nelle settimane successive mentre i tedeschi spostano diverse divisioni in Italia le proteste popolari sono duramente represse, la liberazione degli antifascisti ancora in carcere o al confino procede lentamente, le ambiguità del governo e del re rispetto all’uscita dalla guerra inducono gli anglo-americani a bombardare le città italiane.

Dopo l’occupazione tedesca dell’Italia a seguito dell’annuncio dell’armistizio con gli anglo-americani, l’8 settembre 1943, inizia la fase più violenta e drammatica della guerra in Italia. La casa dei Cervi diventa un rifugio temporaneo per decine di soldati italiani e prigionieri di guerra russi, polacchi, inglesi, sudafricani, francesi, americani fuggiti dai campi di prigionia. Una forma di Resistenza non armata che ha come protagoniste anche tante donne.

Nell’ottobre 1943 i fratelli Cervi sono tra i primi in Emilia-Romagna a costituire una formazione partigiana. Una decisa volontà, che però si scontra con un’inevitabile inesperienza e con difficoltà oggettive, sia nel tentativo di insediare stabilmente una banda in montagna poi, successivamente, nell’agire nella clandestinità in pianura. La mattina del 25 novembre 1943 casa Cervi è circondata dai fascisti e dopo una breve sparatoria Alcide Cervi, i suoi sette figli, due italiani e quattro ex prigionieri di guerra stranieri si arrendono.

Trasferiti in carcere a Reggio Emilia, a seguito dell’uccisione del segretario comunale di Bagnolo in Piano – azione peraltro mai rivendicata dai partigiani – le autorità fasciste decidono di compiere una rappresaglia, fucilando all’alba del 28 dicembre nel poligono di tiro di Reggio Emilia i sette fratelli Cervi e Quarto Camurri, un disertore arrestato con loro.  Il giorno stesso esce un trafiletto sul giornale «Il solco fascista», ma sono omessi i nomi degli uccisi, che vengono seppelliti nel cimitero di Villa Ospizio di nascosto, senza atti formali, redatti a posteriori solo dopo alcuni mesi. Nessuno vuole assumersi la responsabilità pubblica di aver fatto fucilare sette fratelli, tutti insieme, un evento unico nella storia della Resistenza italiana. Tra l’altro, nella loro breve esperienza partigiana i fratelli non avevano mai ucciso nessuno.

A casa Cervi rimangono due anziani, i genitori Alcide e Genoeffa, quattro vedove e undici bambini. I mesi successivi sono durissimi perché non cessano le persecuzioni. La casa è incendiata dai fascisti nell’ottobre 1944 e la madre dei Cervi non regge più questa continua angoscia. Muore di crepacuore il 14 novembre 1944. L’ottava vittima della famiglia Cervi.

A partire dal funerale dei sette fratelli, il 28 ottobre 1945, inizia la costruzione della memoria dei Cervi, che conoscerà passaggi significativi nella concessione di sette medaglie d’argento, nell’intervento di scrittori (su tutti Italo Calvino) e artisti, nell’uscita del libro nel 1955 di Alcide Cervi I miei sette figli, che conosce un successo editoriale clamoroso con 500.000 copie vendute in pochi mesi, con il film nel 1968 di Gianni Puccini I sette fratelli Cervi. Una fase che si chiude simbolicamente con un altro funerale, quello di Alcide Cervi il 30 marzo 1970. Per venticinque anni papà Cervi – così era chiamato – era stato il simbolo vivente del carattere popolare della Resistenza e della brutale violenza nazi-fascista. Sopravvissuto alla perdita dei figli e poi della moglie, con la sua testimonianza commuove e convince migliaia di persone, soprattutto giovani.

Fin dal dopoguerra le continue visite a Casa Cervi per incontrare papà Cervi e farsi raccontare la storia dei suoi figli – che avvengono mentre la famiglia lavora il fondo agricolo – pongono la necessità di avere un luogo espositivo, spazio che è realizzato nel 1961 grazie a un contributo del Partito comunista reggiano. Nel 1975 il fondo agricolo dei Campirossi è acquistato dalla Provincia di Reggio Emilia e inizia così la trasformazione della casa in vero e proprio Museo, gestito dall’Istituto Alcide Cervi nato nel 1972. Nel tempo si susseguono diversi progetti museali e realizzazioni temporanee fino all’allestimento di un museo permanente nel 2001, poi rinnovato nel 2021.

A partire dagli anni Novanta del secolo scorso Casa Cervi diventa uno dei principali luoghi di riferimento per affermare i valori dell’antifascismo e della Resistenza, con iniziative che hanno un grande seguito popolare, come quelle in occasione del 25 aprile. Nel 2001 inizia il Festival Teatrale di Resistenza, che prosegue tuttora, mentre nel 2008 l’Anpi organizza ai Campirossi la sua prima festa nazionale. In questo contesto, negli stessa anni prende piede l’idea di riproporre la pastasciutta antifascista che, nel tempo – soprattutto a partire dal 1996 e in modo più strutturato dal 2010 – dopo le celebrazioni del 25 aprile diventa la manifestazione più diffusa e partecipata dell’antifascismo in Italia, momento di condivisione in ricordo della caduta del fascismo e della storia dei Cervi ma anche affermazione di un impegno antifascista sui temi del presente.

 

 

  • Claudio Silingardi. Vicepresidente dell’Istituto storico di Modena. Ha al suo attivo pubblicazioni riguardanti la storia del movimento anarchico, del movimento operaio e sindacale, dell’antifascismo e della Resistenza. Si è occupato della progettazione e riallestimento di musei storici e di luoghi di memoria, in particolare il Museo della Repubblica partigiana di Montefiorino e il Museo Cervi di Gattatico. Negli ultimi anni si è dedicato al rapporto tra canzoni e Resistenza, realizzando numerose conferenze-spettacolo con il gruppo musicale ‘Banda libera’. Attualmente fa parte del Gruppo di ricerca e progettazione del Museo nazionale della Resistenza di Milano.